martedì 24 luglio 2007

Le politiche familiari a livello Comunale.

MOZIONE
(Le politiche familiari a livello Comunale)


Le politiche Provinciali non possono da sole essere esaustive rispetto ai bisogni sempre più diversificati delle famiglie.
L’Ente locale appare sempre più come un luogo strategico per “reinventare” nuove politiche pubbliche, perché sempre più molte competenze sono trasferite dal centro alla periferia; pertanto è fondamentale il ruolo delle amministrazioni locali, in dialogo con le espressioni della società civile, per elaborare politiche che colgano adeguatamente la diversificazione dei bisogni familiari, soprattutto in funzione del ciclo di vita della famiglia.

Tutto ciò premesso il Consiglio Comunale impegna il Sindaco e la Giunta a seguire i seguenti criteri direttivi generali per corrette politiche familiari e quindi per far decollare una vera politica per la famiglia:

1) Le politiche familiari non sono politiche di lotta alla povertà, pertanto, almeno come tendenza, non possono essere legate al reddito e non devono avere come scopo la ridistribuzione del reddito: esse sono per definizione universalistiche proprio perché ogni famiglia è un bene comune.

2) Le politiche familiari devono in ogni occasione e ad ogni livello essere applicate in chiave sussidiaria e non assistenziale. La solidarietà è fine dell’azione politica ma non può mai essere disgiunta dalla sussidiarietà. Le politiche familiari non possono essere declinate in chiave individualistica, bensì devono sempre considerare la famiglia in quanto tale, tenendo conto dei carichi familiari. Bisogna intervenire per ridurre strutturalmente le sperequazioni.

3) Le politiche familiari non devono essere indirette, bensì dirette: non una politica del lavoro, della casa, della sanità intesa in modo generico ma una politica della casa per la famiglia, del lavoro per la famiglia, della sanità per la famiglia.

4) Le politiche familiari non riguardano i singoli soggetti deboli della famiglia ma prendono in considerazione il nucleo familiare per se stesso e agendo di conseguenza perché esso non sia penalizzato, ma anzi sia oggetto di politiche eque e giuste. Per esempio, la Legge 28 agosto 1997, n. 285 relativa alla promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, ha lasciato sullo sfondo la famiglia, intesa come nucleo, e l’associazionismo familiare, mentre ogni bambino va sempre considerato in rapporto alla sua famiglia, sia che essa sia presente, sia che manchi.

5) Le politiche familiari non riguardano solo il walfare - come l’assistenza, la cura dei soggetti deboli o i servizi – bensì gli sgravi fiscali, la scuola, la bioetica, il lavoro, i mass media, ecc. Molte Leggi e molti interventi delle Istituzioni devono essere considerati “politica familiare” in quanto impattano positivamente o negativamente sulla famiglia.

6) Le politiche familiari per definizione devono riconoscere l’importanza della democrazia associativa, in altre parole devono riconoscere che la società civile nelle sue funzioni è creatrice di benessere. “Democrazia associativa” significa che le associazioni familiari sono un nodo cruciale per avviare politiche familiari serie a tutela delle famiglie. Le associazioni familiari non sono volontariato, ma una realtà pro-fessionalmente seria, che si pone come interlocutore delle istituzioni, per dare voce alle famiglie e per essere cerniera tra individuo, mercato e Stato.


Rovereto, lì 24/07/2007

mercoledì 11 luglio 2007

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